Sia chiaro, non sono qui a lamentarmi e a dire “una volta era meglio”. Non è questa l’intenzione di questo articolo.

L’obiettivo è quello di analizzare una nuova tendenza, un modo diverso di intendere un aspetto del doppiaggio (qui analizzeremo solo l’aspetto del sync non quello dell’adattamento dei dialoghi).

La domanda che da qualche tempo ormai mi tormenta e che ti sottopongo è: ma chi se ne accorge?

Netflix ha riversato sul mercato un bel po’ di lavoro.

Alcuni studi hanno tirato un sospiro di sollievo e molti colleghi hanno il piacere di doppiare qualcosa di diverso dai reality.

I prodotti di Netflix hanno aumentato la qualità di mese in mese.

Spaziano dal documentario al film. E come dicevo… tanto lavoro. Ma da multinazionale, direi monopolista, ha imposto al doppiaggio dei propri standard.

Cosa significa? Che l’arte o, se preferisci, l’artigianato del doppiaggio, deve vedersela con una distribuzione in scala mondiale dello stesso prodotto, una localizzazione multilingue che necessita di parametri uguali per tutte le nazioni… compreso il sync!

Infatti gli standard “automatici” di Netflix sono molto simili a quelli introdotti dall’industria dei videogiochi.

Il riferimento è l’audio, la forma d’onda. Bisogna essere lunghi come la forma d’onda originale.

Potresti pensare: cos c’è di male? Beh… dipende.

Questa sincronizzazione funziona se ci sono determinate condizioni che difficilmente si ripropongono dalla traduzione all’adattamento dei dialoghi.

Ti cito alcuni esempi: le parole devono iniziare con la stessa lettera o perlomeno con una lettera compresa nello stesso gruppo fonetico.

Se in originale la frase inizia con una S, mentre in italiano si parte con una A, l’effetto finale sarà di avere la “sensazione” che la battuta parta in anticipo!

Oppure in originale c’è un fiato all’inizio della frase, che non è stato riportato nel doppiaggio (o è molto piccolo) e vedremo partire la battuta sul fiato del personaggio (quando ancora stava respirando).

Insomma, la sincronizzazione è uno di quei processi del doppiaggio che va valutato battuta per battuta, magari preferendo, per una questione di gusto le battute un pochino più lunghe per coprire bocche aperte e aggiustamenti finali di labbra… insomma, a noi italiani piace un po’ (più) lungo.

E a quanto ho sentito anche a molte altre nazioni che hanno imparato da noi l’arte del doppiaggio, usano questo criterio.

netflix

Credevo che gli spettatori si fossero abituati a tutto ciò e che l’introduzione di specifiche tecniche diverse, avrebbe fatto storcere il naso agli abbonati. Ma è così? Torno quindi alla mia domanda iniziale: ma chi se ne accorge?

Noi dell’ambiente sicuramente sì. Vediamo fastidiose battute tendenti al corto.

E poi? Ripeto, non mi sto lamentando e ti inviterei a non farlo, non ne vedo l’utilità.

Abbiamo fallito nell’educazione del gusto (in questo caso tecnico) del doppiaggio?

Hai mai sentito nessuno, non del mestiere dire: “Ehi, ultimamente le vedo tutte un po’ corte!”

Insomma queste piattaforme hanno portato tanto lavoro e tanti compromessi. A molti di essi faccio fatica ad “adattarmi”, a volte mi sento a disagio e poi mi chiedo: ma chi se ne accorge?

Se ti interessa approfondire il discorso dell’Adattamento Dialoghi, clicca il tasto qui sotto: